Da una parte c’è Douglas Spalding, grande scienziato – siamo in piena epoca vittoriana –, etologo, che anticipa il lavoro sull’imprinting di Konrad Lorenz, e che alla passione dell’osservazione degli animali non umani aggiunge quella degli animali umani. Dall’altra, Itzhak, il protagonista, grande scienziato contemporaneo, che si muove, proprio come l’autore, Giorgio Vallortigara – al quale somiglia –, in quel mondo vasto e largo che è la scienza. La scienza, nonostante sia cosa diversa dagli uomini e dalle donne che la fanno, può essere raccontata attraverso alcuni tipi, e così, accanto a Itzhak, stanno Pietro Ongaro, professore espatriato in Gran Bretagna, ironico e realista, Patrick de Gray, noto, notissimo scienziato, vanitoso e arrogante, Vittorio, che studia il cervello ed è ben conscio che da certe avventure non si torna indietro – la curiosità è pericolosa –, e Sylvia, ex matematica, dalla quale Itzhak è attratto. E infine la contessa, che consente a Vallortigara di spingere la scienza in quel grande immaginario gotico che è l’impossibile, l’irraggiungibile, l’impensabile, lo spaventoso. Itzhak ha una grande passione e un grande modello, Douglas Spalding, e come lui ondeggia tra la scienza e l’amore. D’altronde nel corpo c’è pure la testa. Spalding, per esempio, era stato raccomandato come tutore alla famiglia Russell, cioè ai genitori di Bertrand Russell, e in quella casa era diventato l’amante di Lady Amberley, madre di Bertrand, col beneplacito del marito John: la libertà delle menti che si accorda a quella dei corpi. Vallortigara racconta che non esistono due culture contrapposte, come sosteneva Charles Snow, ma una, e decide di dimostrare la coesistenza di ragione e sentimento, di scienza e umanesimo, con una storia che consente di far capire le cose senza spiegarle. Un grande romanzo che, per struttura – le storie incrociate, una nel passato e una nel presente –, somiglia a Possessione di A.S. Byatt, e per lingua e intenzione non somiglia a nient’altro; l’esordio alla narrativa di un grande scienziato.
Giorgio Vallortigara è un accademico di lungo corso e di prestigio internazionale. Già direttore del Centre for Mind-Brain Sciences dell’Università di Trento, oggi vi insegna neuroscienze, dividendo tempo addietro questa attività con la presenza presso la School of of Biological, Biomedical and Molecular Sciences dell’università del New England (Australia) ed è inoltre Fellow della Royal Society of Biology.
È tra i pochi scienziati europei ad avere ottenuto per due volte il prestigioso erc Advanced Grant e, se non bastasse, è stato insignito del premio internazionale Geoffroy Saint Hilaire per l’etologia e d’una laurea ad honorem dall’Università della Ruhr. Tutto questo meritato soprattutto per gli oltre trecento articoli, apparsi su molteplici e prestigiose riviste specialistiche di mezzo mondo occidentale.
La sua notorietà in Italia fuori dall’àmbito accademico la si deve in particolare a due libri pubblicati dall’Adelphi: “Il pulcino di Kant” e “Pensieri della mosca con la testa storta”, opere alquanto significative non solo per le ricerche nel vasto e combattuto campo della coscienza, ma perché dimostrano la sua capacità di Vallortigara di uscire dal dominio specialistico e di spiegare ai non addetti ai lavori i resultati di studi lunghi e complessi.
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